12 novembre 2008

L'ambulanza

Parlavo proprio oggi, con un amico, del PD e dei tanti errori che commettono i suoi dirigenti, e delle lotte interne, e della mancata opposizione, e di quanto vorremmo un vero partito di centro sinistra, una vera alternativa.
Io mi sono esibito nel solito numero de "non ci sono valide alternative".
Lui ha replicato (mossa standard numero 15) dicendo che ne ha le palle piene di chi gli propone una soluzione inaccettabile con la scusa che altrimenti è peggio.
Certo.
Allora, prevedibilmente, ho fatto ricorso ad una metafora.
Hai avuto un incidente stradale. Sei per terra, in mezzo all'incrocio, piuttosto malconcio, ma ancora cosciente.
Vedi arrivare un'ambulanza decrepita, guidata da uno che ti pare bollito.
Dici "NO! Io su quella ambulanza non ci salgo. Secondo me si guasta dopo 100 metri, e poi avete visto chi la guida? Quello non sa neanche dov'è l'ospedale!".
Perfetto.
Il vero problema è che non ci sono altre ambulanze.
Anzi, no. Ce n'è una. Sembra lucida e splendente. In realtà è fatta di cartone, e la guida il dottor Mengele.
A te la scelta.
Prevedibilmente Marloc (il mio amico) ha risposto: "Si, vabbene. Ma il vero problema è che l'ambulanza la vogliono guidare sempre loro. E se mi avvicino dicendo 'guido io' mi fanno cenno di no con la manina. E se mi avvicino dicendo 'beh, posso almeno cambiare le gomme, pulire il filtro, riparare le lampadine bruciate' mi dicono 'no, ci pensiamo noi' . In questo modo l'ambulanza è destinata ad essere una fetenzia poco adatta allo scopo".
Discorso sensato, a prima vista.
Peccato che la realtà sia un'altra.
La realtà è che, per uscir di metafora, gente come D'Alema e Veltroni, che non brillano per lucidità ed intuito politici, per capacità organizzativa, per carisma, vengono sempre lasciati soli a dirigere la baracca.
Nel senso che l'unico modo per salire sull'ambulanza, per ripararla, per renderla efficiente, è quella di partecipare in massa alla vita politica.
Se ci fosse, nel PD, un'invasione di milioni, di miliardi di giovani che dicessero: "Sai cosa? Adesso ci siamo noi, e voi potete andare a riposo!", la cosa cambierebbe.
Se i giovani, invece di tenersi lontani dalla politica, come se davvero fosse una cosa sporca, decidessero di partecipare IN TANTI, fino ad occupare FISICAMENTE gli spazi della politica, allora si che le cose cambierebbero!
Se invece di stare FUORI, i giovani ENTRASSERO nei palazzi della politica, e gentilmente accompagnassero all'uscita tutti coloro che non hanno saputo fare un'opposizione come dio comanda, tutti coloro che in qualche modo hanno scheletri nell'armadio, precessi pendenti o passati, collusioni con poteri poco amici del popolo, migliaia di nomine in inesistenti consigli di amministrazione...
Me li vedo, centinaia di giovani, presentarsi nei teatri, nelle piazze, dove si esibiscono le vecchie cariatidi del PD. E occupare fisicamente questi luoghi. Con dolce determinazione.
Ma se invece i giovani guardano da fuori, schifati, dicendo "è tutto marcio", beh, vuol dire che decidono di lasciare il loro futuro nelle mani di noi 50enni, 60enni, 70enni. Che abbiamo mille incrostazioni, mille interessi laterali, poca energia per innovare.
Mi verrebbe da dire "peggio per loro". Ma mi dispiace. Davvero tanto.

Etichette: , ,

3 Commenti:

Alle 13 novembre 2008 11.51 , Anonymous Anonimo ha detto...

Caro Salvo, hai messo il dito nella piaga.
Proprio ieri parlavo con un amico dicendo più o meno le stesse cose che dici tu: per i giovani (e non mi si venga a dire che li abbiamo abituati noi, ecc. ecc.) è molto COMODO lasciare che siano i "vecchi" a guidare la baracca intanto che loro giocano a fare gli intellettuali. Tranne poi, mettersi a criticare quando vedono le cose storte ma, a sporcarsi le mani (perché a volte devi proprio mettere le mani nel fango) guai a loro.
E no, cari giovani, dovete esere voi, come giustamente dici tu, a prendere le redini.
Abbiamo validi esempi di giovani che all'indomani della guerra, si sono rimboccati le maniche ed hanno rimesso in piedi questo PAESE.
Facciamo un esempio: il lavoro l'hai imparato tu, "rubando" le conoscenze od hai aspettato che qualcuno ti venisse a dire: guarda si fa così e così?
Io ho sempre dovuto arrangiarmi e sono consapevole che se avessi tenuto la lingua chiusa (a volte) avrei anche fatto carriera, ma questo è un altro discorso.

Sai che ti dico?
O i nostri giovani si mettono a ragionare con la loro testa, ad inventarsi un futuro, oppure siamo destinati a scomparire - in tutti i sensi.
Basta guardare gli stranieri che lavorano in Italia: svolgono tanti mestieri (con professionalità e che danno loro la possibilità di diventare anche imprenditori) che i nostri giovani (perché hanno studiato e quindi non possono prendere in mano un cacciavite, non sia mai!) non vogliono più fare.
E come crediamo di crescere?
Conosco tanti stranieri che nella loro patria sono laureati e si adattano a lavori umili, ed i nostri no!
Tanto ci sono i genitori che li foraggiano ed esaudiscono tutti i desideri.
Ma la colpa non può essere solo della nostra generazione.
Condivido la tua analisi: se non si danno una mossa, peggio per loro.

 
Alle 13 novembre 2008 11.54 , Blogger Salvatore Randazzo ha detto...

Dissento in parte da quel che dici.
I giovani non sono una entità unica, con una testa unica ed un'unica
responsabilità. I giovani sono il risultato di tanti fattori. Non sarebbero
diversi da noi, messi nelle nostre stesse condizioni, o nelle condizioni dei
nostri genitori. Perchè dovrebbero?
Messi nelle attuali condizioni, si comportano come vedi. Tutti, più o meno
tutti.
Questo, per me, significa una cosa sola. Che le condizioni che abbiamo
creato, sperando di render loro la vita più semplice, li hanno invece messi
nella condizione di non sviluppare la tempra necessaria ad affrontare le
sfide della vita.
Se ci pensi, è la storia dell'umanità. Ogni civiltà, come tutti gli
organismi viventi, ha un inizio, un punto di massimo splendore, ed una fine.
La nostra civiltà italiana ha toccato il massimo splendore nell'immediato
dopoguerra, nel periodo del boom. Anni 50 e 60.
Poi l'inizio del declino.
E' qualcosa di intimamente legato alla durezza dell'addestramento.
COndizioni di vita difficili temprano caratteri forti e capaci di affrontare
le difficoltà.
Condizioni di vita agiate, con genitori inclini a soddisfare ogni richiesta,
creano giovani abituati alla pappa pronta, a ricevere tutto senza niente
dare. Ad aspettarsi dagli altri soluzioni preconfezionate.
Se ci fai caso una volta, ad esempio, era abituale farsi la musica da soli.
Certo, l'ascoltavamo, ma ci piaceva anche suonarla. Chi non ha mai messo le
mani su una chitarra o su una tastiera? Era concepibile una festa, una gita,
senza che qualcuno portasse la chitarra?
Adesso la chitarra è vista come uno strumento esoterico, che suonano solo
pochi iniziati.
Non e' colpa loro. E' che proprio gli abbiamo reso la vita facile, non li
abbiamo addestrati alla sofferenza, alle privazioni, alla conquista.
Peccato.

 
Alle 23 aprile 2009 22.38 , Anonymous Anonimo ha detto...

ciao salvo,condivido in pieno la tua analisi,come sempre precisa e puntuale..temo sia davvero cosi: non sono stati educati
alla sofferenza, alle privazioni, alla conquista..condizioni dure temprano spiriti forti..ma già dalla mia generazione siamo stati troppo ben abituati..purtroppo..invece di utilizzare il benessere e la fortuna avuta ci siamo seduti sugli allori..mi piacerebbe davvero vedere i giovani occupare con dolce determinazione i luoghi della politica..ma temo sia un utopia..siamo italiani!!condivido una poesia di goethe (scritta nel 1786 ma sempre attuale)
L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti
come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c’è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé.
Bello è il paese! Ma Faustina, ahimè, più non ritrovo.
Non è più questa l’Italia che lasciai con dolore.
sg

 

Posta un commento

Link a questo post:

Crea un link

<< Home page