26 agosto 2008

Come mai è successo tutto questo?

Eravamo una nazione vitale e forte. Non molto strutturati, certo. magari un po' arruffoni, certo. Con tutti i nostri difetti tipicamente italiani.
Ma andavamo forte, avevamo una forte identità e molta voglia di fare, forse simile a quella dei cinesi oggi.
Cosè successo poi? Com'è che siamo diventati così inefficienti, così corrotti, così disorganizzati. Com'è che il nostro paese ha una identità così appannata, a cosa dobbiamo questa scarsa capacità di reagire, di prendere in mano il nostro destino e spingerlo avanti, più avanti.
Si potrebbe pensare ad un ciclo naturale, al fatto che raramente i figli ereditano dai padri le stesse capacità creative ed imprenditoriali. E' convinzione comune che i nonni creano le imprese, i padri le conservano e i figli le distruggono. Non so se il nostro paese sta pagando questo prezzo generazionale, questa specie di tributo inevitabile al tempo che passa.
Mi chiedo se altri paesi, USA, Germania, Francia, UK, stanno pagando lo stesso prezzo.
Mi pare che l'Italia abbia una zavorra in più, qualcosa che ha spento la nostra capacità di reagire, di organizzarci, di creare.
E' come se avessimo perso la bussola, come se non sapessimo più in che direzione andare.
Azzardo una ipotesi, con la segreta paura di esagerare, ma forse neanche tanto.
E se fosse un fatto culturale? Se la cultura che respiriamo da più di vent'anni avesse, poco alla volta, corroso la nostra capacità creativa?


Sarà anche una mia idea fissa, ma secondo me non è privo di conseguenze vivere di "grande fratello", di "veline", di "isola dei famosi". Di spettacoli che hanno come protagosisti persone che diventano famose senza alcuna particolare capacità, senza nessun motivo particolare se non il fatto di "esserci". Spettacoli in cui vince, diventa famoso l'uomo più volgare, la donna più sguaiata, più disinvolta. Spettacoli che raccontano ai nostri giovani, e non solo a loro, di come si possono risolvere i propri problemi esistenziali partecipando ad uno spettacolo televisivo, senza essere necessariamente bravi a fare qualcosa. A guardare quegli spettacoli viene da pensare che non serva sbattersi più di tanto. In fondo basta un po' di faccia tosta, un briciolo di fortuna, e se ti prendono in un reality il problema è risolto.
Che dici, è una visione semplicistica? Forse.
Ma secondo me non è privo di conseguenze continuare per vent'anni di seguito a riempire la testa della gente di subcultura. La TV, checchè se ne dica, è oggi il maggior veicolo di cultura. I bambini se la bevono con il latte, fin dai primi mesi. E gli adulti non sono da meno. Anche quelli che, veleggiando oltre i 50, sono nati in anni in cui la televisione ancora non esisteva o trasmetteva poche ore al giorno. E, per altro, faceva vera cultura.
La televisione ha, negli ultimi 20 anni, proposto modelli che distano anni luce dalla vera cultura del lavoro. Ha proposto modelli di uomini rampanti, che raggiungono il successo grazie ad ardite operazioni finanziarie. Ha proposto, sull'onda di tanti film e serial del tipo "saranno famosi", il modello del ragazzo che raggiunge il successo ballando e cantando. Solitamente dopo pochi mesi di "duro addestramento". Non esistono, al cinema ed in televisione, le persone reali di cui ha bisogno il nostro paese. Non esiste chi passa anni sui libri per acquisire una professionalità, chi lavora in silenzio, duramente, per creare una impresa di successo. In televisione tutto succede in pochi giorni, al massimo in qualche mese, grazie all'idea giusta, grazie all'intuizione, grazie all'investimento azzeccato.
Non esiste il successo cercato, progettato, realizzato passo per passo, grazie anche ad un sistema scuola-industria che funziona.
Invasi, distrutti da questa subcultura, come possiamo pensare di salvare il nostro paese?

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24 luglio 2007

11 luglio 2007 - Pensioni, scalone e politica.

L'altra sera stavo guardando il telegiornale, e come al solito parlavano di pensioni, di tensioni nel governo, di scalini e scalone. Senza accorgermente, mi sono girato sbuffando ed alzando le spalle. Mi moglie ha visto questo mio movimento di stizza e mi ha detto: "Ma non pensi che la questione ci riguardi tutti? Non ti sembra importante l'argomento pensioni?".

La sua osservazione mi ha costretto a fare mente locale, a mettere a fuoco i miei pensieri, a cercare di capire il perchè di questo mio moto di stizza.

Mi picco di essere un osservatore appassionato della politica. Sostengo, da sempre, la necessità come dovere sociale di seguire la politica, che è quella che, nel bene o nel male regola le nostre vite. Tutto quel che ci circonda è frutto di decisioni politiche. I campi coltivati, la scuola dei nostri figli, gli ospedali, le strade, le pensioni, i treni. Rinunciare ad occuparsi di politica vuol dire rinunciare a capire i meccanismi che regolano le nostre vite. Non dico che su questi meccanismi si possa incidere, perchè per noi gente comune l'unica arma, ormai spuntata, è quella del voto. Soprattutto da quando ci hanno tolto la possibilità di scegliere il candidato per cui votare. Ma per lo meno possiamo capire, parlare, discutere, organizzare nel nostro piccolo il consenso o il dissenso.

E allora, da cosa nasce questo disinteresse per un argomento che, a 54 anni e senza ricchezze da parte, dovrebbe interessarmi moltissimo?

Il fatto è che da qualche tempo ho la sensazione che le grandi discussioni politiche siano fumo. Non in assoluto, ma relativamente al momento in cui viviamo. E' come, sul titanic che affonda, preoccuparsi per la cottura della bistecca. La vuoi ben cotta o al sangue?

La coperta è corta. Se aumentano le pensioni, se diminuiscono lo scalone, servono risorse. Le troveranno, ad esempio, togliendole alla sanità, o alla scuola. O ritardando il finanziamento delle opere pubbliche. O aumentando le tasse ai lavoratori o agli industriali. In ogni caso, quel che danno con una mano, lo tolgono con l'altra. Certo, ci dicono, si può sempre recuperare l'evasione fiscale. Ma ci vogliono energie politiche per farlo. E la nostra classe politica non brilla per energia. Tutta, da qualsiasi parte.

Se mi aumentano la pensione, ma quando vado in ospedale non trovo le strutture adeguate, a che mi serve? E se mio figlio non trova lavoro, a che mi serve? E se mi aumentano la benzina, a che mi serve?

E allora la risposta è che dobbiamo trovare le risorse. Dobbiamo migliorare l'efficienza del sistema Italia. Per finanziare lo stato sociale e la ripresa, occorre che finalmente la macchina politica e pubblica inizi a marciare in modo efficiente. Occorre che (unica cosa che mi piaceva nel programma di Berlusconi) vengano semplificate le leggi, le imposte, la burocrazia. A quanti punti percentuali di riduzione fiscale corrisponderebbe una reale riduzione del carico burocratico e legislativo? Quali risparmi avrebbe l'imprenditoria se dovesse confrontarsi, a parità di peso fiscale, con meno leggi e meno adempimenti burocratici? Dobbiamo diminuire i costi della politica. Elminare tutte quelle società statali o miste che servono a dare ricche ed inutili posizioni a politici decotti. Dobbiamo eliminare le migliaia di fasulli consigli di amministrazione. Dobbiamo mettere nei posti chiave manager competenti che abbiano stipendi decorosi, ma non stellari. E commisurati ai risultati.

Sembrano i soliti discorsi che oggi vengono definiti "qualunquisti" e "antipolitici". Ma a me invece pare che si tratti di desiderio di poter tornare a parlare davvero di politica. Oggi non si può, perchè tutto ci sta crollando addosso.

Nel momento in cui qualsiasi opera pubblica costa almeno il doppio, ma anche il triplo o più rispetto agli altri paesi europei, è facile capire dove vanno a finire le risorse che poi mancano per le pensioni e per la sanità e la scuola e tutto il resto. Nel momento in cui tutto quel che è "politica", in italia costa incredibilmente di più rispetto agli altri paesi europei, come speriamo di poter risollevare la testa, di poter diminuire l'età della pensione o di aumentare le risorse per la scuola e la ricerca?

Ci dicono che, con l'aumentare della vita media, dobbiamo anche aumentare l'età pensionabile. Non nego una certa astratta validità a questi ragionamenti. Ma il costo di un anno in più o in meno delle nostre pensioni è una goccia d'acqua se confrontato al mare degli sprechi, della corruzione, dei costi assurdi della politica.

La domanda, banalmente, è questa: e' davvero inevitabile tutto questo? Dobbiamo, davvero e per forza, accettare questi costi assurdi? E' davvero ineluttabile tutto ciò? Quando parlo con la gente intorno a me, tutti sembrano rassegnati. Tutti mi guardano come si guarda un povero illuso. Ma io ritengo davvero assurdo il fatto che a me si debba chiedere, ad esempio, di andare in pensione qualche anno dopo, mentre la riduzione dei costi della politica sembra una costante naturale, come il pi-greco.

Siamo inseriti in una competizione internazionale, con paesi vicini a noi che hanno un livello di efficienza molto maggiore del nostro. Con leggi più snelle, con costi della politica incredibilmente più bassi. Dove lo stato funziona meglio, dove le opere pubbliche costano la metà delle nostre o meno. Come speriamo di competere, in questo contesto? Davvero pensiamo di farlo tagliando qualche anno di pensione?

A questo proposito può essere interessante leggere questo articolo di Walter Veltroni.

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