Scopo di queste riflessioni è quello di approfondire se il passaggio all’auto elettrica comporti o no un reale vantaggio ambientale.
In realtà il discorso è più ampio e va a toccare questioni come il global warming e l’effetto serra, se siano o meno una buffonata, un’invenzione degli ecologisti ad oltranza.
Premetto che prenderò molte informazioni da un post molto approfondito pubblicato da Tim Urban sul suo blog WaitButWhy. Il post è fatto molto bene, ma comunque cerco il più possibile di verificare le informazioni su varie fonti.
Infine, prima di partire, è bene chiarire da che parte sto, visto che si finisce sempre per dividersi fra pro e contro. Beh, non sto da nessuna parte. Cerco solo di capire cosa c’è di vero e cosa invece è frutto di pura invenzione.
Alcuni sostengono (spero di sintetizzare correttamente) che:
- E’ opinabile il fatto che la produzione di CO2 ed altri gas serra derivanti dall’attività umana possa effettivamente incidere sul fenomeno del riscaldamento globale.
- E’ opinabile il fatto che l’utilizzo di auto elettriche possa comportare una significativa diminuzione del consumo di petrolio e quindi della produzione di gas serra (CO2 ed altro).
Partiamo dal primo punto: l’idea è che l’attività umana poco possa incidere realmente sul riscaldamento globale. In effetti nella storia del pianeta si sono alternati periodi di riscaldamento e di raffreddamento, mediamente entrambi disastrosi per ogni forma di vita, portando ad ere glaciali o desertiche.
Questa è la storia della temperatura degli ultimi 400 milioni di anni rilevata analizzando le carote di ghiaccio scavate alla stazione meteorologica di Vostok, in Antartide. Altri dettagli sulla registrazione delle temperature si possono trovare qui.
E’ facile vedere come al passare di 400 milioni di anni si siano alternati periodi caldi, con temperature di quasi +4°C rispetto alle medie attuali, e periodi molto freddi, con temperature medie fino a -8°C rispetto a quelle attuali.
Questo grafico viene spesso citato da chi vuol dimostrare che le temperature hanno sempre subito variazioni, molto prima che l’uomo comparisse sulla terra.
Facciamo un passo avanti, e vediamo se c’è relazione fra la variazione di CO2 e la temperatura. Il grafico qui sotto sembra mostrare una correlazione piuttosto stretta fra le due grandezze:
Difficile negare quindi che le due grandezze varino in modo palesemente sincronizzato. Quel che i due grafici non possono dire, ad uno sprovveduto come me, è il rapporto di causa-effetto. E’ la variazione di CO2 a determinare la variazione di temperatura, o viceversa? Beh, l’effetto serra non sembra essere messo in discussione neanche dai più accaniti debunkers, anche se non manca chi dice che in questi grafici la variazione di CO2 sembra seguire la variazione di temperatura. Difficile a dirsi, occorrerebbe poter vedere i dati e i grafici più nel dettaglio. Comunque ho provato a sovrapporre i due grafici:
La linea verde rappresenta il valore di CO2, quella blu rappresenta la deviazione di temperatura. Sembra di poter dire che quando la temperatura scende la CO2 segue con qualche milione d’anni di ritardo, mentre quando la temperatura sale la CO2 precede l’aumento di temperatura. Le cose sono certamente più complicate di quel che possa sembrare da un’analisi superficiale.
(una interessante analisi sul rapporto causa/effetto si può trovare su questo sito: “Chi viene prima, la CO2 o il riscaldamento?” che riporto più sotto, tradotto in automatico da Google Translator)
Aggiungiamo comunque un ulteriore elemento riguardante i valori di CO2 misurati negli ultimi 1000 anni, comparati con quelli degli ultimi 400M-anni:
Come si può vedere la concentrazione di CO2 varia da circa 180 a 300 ppmv fino a circa il 1800, per poi salire in verticale fino a 380ppmv.
Questo incremento di CO2 non è messo in discussione da nessuno. Ci si divide invece sulle possibili conseguenze. C’è chi dice che la CO2 non ha niente a che vedere con l’effetto serra o che addirittura l’aumento della sua concentrazione potrebbe causare l’effetto opposto, riflettendo i raggi solari e provocando quindi il raffreddamento.
Si tratta di una posizione tutto sommato minoritaria, ma che non manca di affascinare parecchie persone, molte di estrazione tecnica.
Una delle osservazioni che mi son sentito fare, parlando con chi è convinto che “siano tutte balle”, è che una qualsiasi eruzione vulcanica è in grado di emettere in atmosfera una quantità di CO2 talmente enorme da ridicolizzare le emissioni dei motori a scoppio di tutto il mondo.
L’argomento è suggestivo, ma del tutto errato.
Questo articolo dell’osservatorio vulcanologico delle Haway, dipartimento di Geologia del Governo USA, ci spiega grosso modo che tutti i vulcani del mondo, sia emersi che sottomarini, emettono ogni anno circa 200’000 tonnellate di CO2. Sembrano tante, ma l’uso dei combustibili fossili provoca ogni anno l’emissione di 28,8 Miliardi di tonnellate di CO2. Quindi i vulcani emettono l’UNO PER CENTO della CO2 immessa nell’atmosfera dall’uso dei combustibili fossili.
Ulteriori informazioni sulla CO2 si possono trovare sul sito Carbon Dioxide Information Analysis Center.
Il che ci riporta al punto di partenza: l’attività umana produce un sacco di CO2, ma non possiamo dire con totale certezza se questo possa comportare o meno un corrispondente incremento di temperatura. Quel che sappiamo di certo è che la temperatura media sta salendo. Vediamo a che punto siamo e quali sono le previsioni:
Come si può vedere dai vari colori, le previsioni dei vari istituti divergono, ma tutte prevedono un aumento di almeno 2°C da qui al 2100. Ancora una volta non tutti sono d’accordo, e mi pare giusto dar conto di un interessante articolo di Matt Ridley su The Wall Street Journal. Secondo questo articolo l’aumento di CO2 porta notevoli vantaggi allo sviluppo delle piante, e comunque non è assolutamente detto che possa comportare un aumento di temperatura.
Quindi possiamo concludere che, per quanto la gran maggioranza degli scienziati (vedi figura qui sopra) preveda un forte incremento delle temperature, questo paradigma trova anche autorevoli pareri contrari. Siamo quindi al punto di partenza?
Mica tanto. Sappiamo che nel mondo del lavoro il rischio viene valutato con la formula Rischio = Probabilità x Danno, esprimendo i due valori con (ad esempio) un valore da 1 a 4: 1 per bassa probabilità o danno lieve, 4 per alta probabilità o danno mortale. Ad esempio, un evento a bassa probabilità ma che comporterebbe un danno mortale avrebbe rischio 1×4=4, così come un evento altamente probabile ma con danno lieve. Questa è la matrice di rischio che viene spesso usata, e che ho trovato su questo sito:
Esistono quindi pareri diversi per quanto riguarda la probabilità del rischio di aumento di temperatura. Ma quale sarebbe il danno, se la temperatura dovesse realmente aumentare? Il fatto è che bastano pochi gradi in più o in meno per cambiare drasticamente, direi drammaticamente la situazione. Tanto per dire, 18000 anni fa l’emisfero settentrionale si presentava così (figura a sinistra):
Ecco qual è lo spettro delle variazioni: con 5°C meno di oggi New York sarebbe coperta da 800m di ghiaccio, mentre con 6°C in pù di oggi la stessa città sarebbe sotto 150m d’acqua.
Possiamo quindi dire che comunque, se anche la probabilità dovesse essere bassa, il danno sarebbe totale. Nella nostra matrice di valutazione del rischio, avremmo srempre danno=4 e probabilità variabile in base alle convinzioni di ciascuno, da 1 a 4. Con il rischio che risulta variabile da 4 a 16. In qualsiasi azienda si prenderebbero seri provvedimenti per la riduzione del rischio, non vi pare?
Ognuno di noi, in base alle proprie convinzioni, deve sostanzialmente decidere “se il gioco vale la candela”. Vale la pena di rischiare?
Ammettiamo allora di voler ridurre le emissioni di CO2. Da dove partire? Guardiamo l’immagine seguente che mostra come viene utilizzata l’energia proveniente dalle varie fonti.
Saltano subito all’occhio due elementi:
– La maggior parte dell’energia viene prodotta bruciando petrolio
– La maggior parte dell’energia prodotta dal petrolio viene consumata per i trasporti.
Se riuscissimo quindi ad ottimizzare l’utilizzo dell’energia nel campo trasporti potremmo ridurre la produzione di CO2.
Mi chiedo se il passaggio dalla trazione tradizionale mediante motore a scoppio alla trazione elettrica possa costituire una soluzione.
Partiamo da un documento della IEA (International Energy Agency). L’immagine qui sotto è relativa al 2012 ma la sostanza non cambia
Si vede bene che il consumo di petrolio per il trasporto è circa il 64% del totale di 3652 Mtoe, ossia 2326 Mtoe. Questo petrolio viene utilizzato per alimentare motori diesel e a benzina. Per semplicità ipotizziamo che vengano usati solo motori diesel, che hanno un rendimento migliore. Un moderno motore diesel ha una efficienza che va dal 25% al 30%. Assumendo il valore migliore, c’è uno spreco del 70%. E questo vale assumendo che il motore giri al suo regime ottimale. Nella realtà qualsiasi veicolo stradale viaggia ad un regime che può variare da 0 (veicolo fermo in coda con motore acceso, efficienza 0%, spreco 100%) al regime ottimale. Difficile quindi stimare l’efficienza media, ma non mi sembra irrealistico parlare del 25%. A questo aggiungiamo i costi energetici di trasporto del combustibile dalla raffineria alla pompa, anche questo difficile da stimare. Diciamo che per stima prudenziale togliamo un altro 2%. Arriviamo ad una efficienza del 23%, ossia uno spreco del 77%.
Rifacciamo i conti ipotizzando di utilizzare per il trasporto solo energia elettrica generata in centrali a cogenerazione alimentate a petrolio. La situazione certo potrebbe migliorare usando anche fonti rinnovabili per la generazione dell’energia elettrica, ma per ora assumiamo di usare ancora il petrolio per alimentare la rete elettrica usando centrali a cogenerazione.
L’efficienza dei motori elettrici può arrivare al 97% per i motori di grossa taglia, ma anche qui l’efficienza varia in base al carico. Assumiamo un valore prudenziale di 85%. Aggiungiamo le perdite del ciclo di carica/scarica della batteria che sono intorno al 5%, arriviamo all’80%. Andiamo ancora avanti, e consideriamo le perdite di trasporto , che sono circa il 6%, arriviamo al 76%. L’ultimo elemento è quello delle perdite della conversione petrolio -> energia elettrica in una centrale alimentata ad olio. L’efficienza di una centrale a cogenerazione può essere dell’80%, quindi una ulteriore perdita del 20%. In totale raggiungiamo una efficienza del 60%, o in altri termini, uno spreco del 40%.
Quindi confrontando le due soluzioni di trasporto diesel vs. elettrico risultano questi dati:
ut | perd | Mtoe tot | Mtoe utilizzate | Mtoe perse | |
% utilizzata | % perdite | ||||
motore a scoppio | 23 | 77 | 2326 | 535 | 1791 |
motore elettrico | 60 | 40 | 892 | 535 | 357 |
Mtoe el | 892 | ||||
(Mtoe_p * ut_p / ut_e) |
In pratica:
Attualmente (motore a scoppio) utilizziamo 2326 Mtoe di cui ne sprechiamo il 77% ossia 1791 Mtoe.
Se usassimo solo motori elettrici ci basterebbero 892 Mtoe di cui 535 Mtoe realmente utilizzate e le altre 357 Mtoe in perdite varie.
Per farla breve, ci sarebbe un gran bel risparmio di 1434 Mtoe di petrolio ogni anno…..
Immagino di aver commesso vari errori nei mie conti, ma probabilmente non abbastanza da snaturare l’essenza del discorso che andrei a sintetizzare così:
Il passaggio dal motore a scoppio al motore elettrico comporterebbe un risparmio del 61%
Se non ho sbagliato qualcosa di macroscopico c’è da chiedersi cosa stiamo aspettando….
A questo punto c’è da chiedersi chi e perché ha poca voglia di dover assistere a questa transizione.
Le industrie del petrolio vedrebbero ridursi del 61% la frazione delle vendite destinata al trasporto, ossia il 64%. Una riduzione globale del 39% non è cosa da poco. C’è da scommettere che le compagnie faranno del loro meglio per ritardare il più possibile questo evento. Potrebbero fare come fecero a suo tempo le industrie del tabacco, una bella campagna di disinformazione.
Le industrie automobilistiche, anche loro, vedono l’avvento dell’auto elettrica come un calcio nelle parti basse. L’auto elettrica, rispetto a quella con motore a scoppio (termica), sarebbe estremamente più duratura. Un motore elettrico, rispetto ad un motore a scoppio, è di una semplicità disarmante, non c’è praticamente niente che si rompe. Certo, le industrie faranno del loro meglio per introdurre obsolescenze programmate, come fanno più o meno tutte le industrie del mondo. Ma con tutta la buona volontà non sarà facile rendere un’auto elettrica “fragile” come un’auto termica. Saranno perdite notevoli in termini di vendite di auto nuove e di pezzi di ricambio.
Discorso analogo per le autofficine. Anche per loro ci sarà una notevole contrazione del fatturato, proprio perché l’auto elettrica richiede decisamente meno manutenzione rispetto all’auto termica.
Insomma, l’auto elettrica conviene, inquina molto meno della metà, ma rompe le scatole a parecchia gente.
Non a caso Marchionne ha invitato gli americani a non comperare la FIAT 500e (venduta solo negli USA): Cito da Focus.it: “La produzione di veicoli elettrici sembra però molto mal sopportata dalla dirigenza, tanto che lo scorso anno, durante una conferenza a Washington, lo stesso Sergio Marchionne si espresse in modo molto negativo, chiedendo addirittura agli americani di non comprare la 500 elettrica, che all’azienda costa una perdita secca di circa 14 mila dollari per ogni vettura venduta. Secondo Marchionne, non esiste Casa automobilistica, a parte Tesla, che possa affermare di vendere le proprie elettriche con un attivo”.
Questo conferma il fatto che le industrie automobilistiche non sono così desiderose di passare all’elettrico.
Argomenti contro l’auto elettrica
Prevedibilmente è scattata la campagna controinformativa per spiegarci come mai l’auto elettrica, lungi dal contribuire a risolvere i problemi di inquinamento ambientale, potrebbe addirittura peggiorarli. Vediamo quali sono gli argomenti più gettonati.
1 – L’auto elettrica non è così “verde”
Un articolo di “The economist” ci spiega che l’auto elettrica potrebbe inquinare decisamente di più rispetto ad un’auto termica. La chiave dell’argomento è l’origine dell’energia elettrica. E non è un argomento privo di una sua validità. Rivediamoci l’immagine che descrive a livello mondiale il flusso di energia
E’ relativa al 2007, ma teniamola per buona. Se guardiamo alla produzione di energia elettrica vediamo che viene in massima parte (42%) dal carbone. Subito dopo segue il gas naturale con il 22%, il nucleare con il 15% e via via. Il petrolio contribuisce per un misero 7%. Se quindi dovessimo alimentare le auto elettriche con questo mix ci ritroveremmo con un’auto elettrica che per il 42% va a carbone. Il che giustifica l’argomento di chi dice che l’auto elettrica finirebbe per avvelenare più dell’auto a petrolio. Quel che non ci dicono è che ci si sta attrezzando per utilizzare le fonti alternative, soprattutto i pannelli solari, per caricare le batterie delle auto elettriche. Nei progetti di Elon Musk, fondatore di Tesla Motors, le stazioni di ricarica SuperCharger saranno alimentate direttamente, o tramite la rete di distribuzione, da energia solare.
A conclusione riporto qui la traduzione automatica fatta da google di un articolo in inglese che si può trovare qui:
https://cen.acs.org/articles/87/i51/Comes-First-CO2-Heat.html
Gli scettici del riscaldamento globale hanno sviluppato una serie di punti di discussione da utilizzare nelle loro argomentazioni mentre fanno pressioni contro il riscaldamento globale antropogenico. Molti di questi punti rientrano nella categoria delle “canard climatiche”. Queste leggende metropolitane e talvolta una vera e propria disinformazione aggiungono confusione alla comprensione pubblica della scienza del clima e sono state confutate dalla comunità di ricerca sul clima tradizionale nel corso degli anni. Eppure continuano a spuntare.
Una bugia è che l’aumento della temperatura che segnala la fine di un’era glaciale viene osservato prima di un aumento della concentrazione di anidride carbonica, piuttosto che dopo l’aumento. Questa osservazione sembra essere una contraddizione nella teoria del riscaldamento globale: un aumento della concentrazione di CO2 fa aumentare la temperatura o è il contrario?
La risposta è entrambe le cose, anche se intuitivamente molte persone presumono che possa essere solo in un modo o nell’altro, osserva il geofisico Michael E. Mann, direttore dell’Earth System Science Center della Pennsylvania State University. Mann fa parte di un gruppo di scienziati del clima che gestiscono il sito Web “RealClimate”, che fornisce notizie e commenti sul riscaldamento globale e sul cambiamento climatico per contrastare i blog gestiti dagli scettici.
I dati delle carote di ghiaccio sulle concentrazioni di CO2 risalenti agli ultimi 800.000 anni e confermati da prove geologiche mostrano che il clima della Terra è stato soggetto a lunghe ere glaciali interrotte da brevi e caldi periodi interglaciali. Come attualmente compreso, questo ciclo si verifica circa ogni 120.000 anni ed è causato da cambiamenti regolari e prevedibili nell’orbita terrestre attorno al sole – la Terra si avvicina e si allontana dal sole – e si sposta sul proprio asse, spiega Mann.
Quando si verificano questi cambiamenti, la Terra inizia a riscaldarsi, sciogliendo il ghiaccio e la neve in modo che il pianeta assorba più calore, che funge da feedback per aumentare il riscaldamento. Alla fine, gli oceani si riscaldano abbastanza da iniziare a emettere CO2. La CO2 successivamente si diffonde in tutta l’atmosfera, assorbendo più luce solare e intrappolando il calore per amplificare l’effetto di riscaldamento.
Una bugia correlata è che l’effetto di riscaldamento della CO2 è limitato perché a concentrazioni più elevate satura l’atmosfera e può assorbire solo una certa quantità di radiazione solare o calore dalla superficie terrestre. Gli scettici del riscaldamento globale hanno usato questo argomento per spiegare erroneamente perché la Terra smette di riscaldarsi dopo un’era glaciale. Ma la realtà è che la CO2 si disperde in altri strati della troposfera – la coltre della serra diventa più spessa – in modo che la capacità di assorbimento non diminuisca, dice Mann.
Quindi è un dato di fatto che gli aumenti di CO2 seguono gli aumenti di temperatura fino a circa 1.000 anni durante i periodi interglaciali, dice Mann. Questo aumento naturale di CO2 aiuta a portare il pianeta fuori dalle ere glaciali e modera le temperature durante i periodi interglaciali, come oggi, sottolinea. Questo ciclo dà anche fiducia agli scienziati del clima nel prevedere che la CO2 antropogenica aggiunta ai livelli naturali di CO2 porterà a un maggiore riscaldamento, aggiunge Mann.
Ma il fisico dell’atmosfera ed eminente scettico sul riscaldamento globale S. Fred Singer afferma che c’è ancora un problema di causa ed effetto con quell’analisi della CO2, e non solo per le ere glaciali, ma in tutte le valutazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sul Cause ed effetti del riscaldamento globale causato dall’uomo. Se la teoria dice che la CO2 guida il cambiamento di temperatura, allora un aumento della CO2 dovrebbe sempre avvenire prima di un aumento della temperatura, non dopo, dice Singer.
La completa controargomentazione di Singer è esposta in “Climate Change Reconsidered”, un rapporto pubblicato dal Gruppo internazionale non governativo sui cambiamenti climatici, istituito dagli scettici del riscaldamento globale per opporsi all’IPCC. Per Singer, la mancanza di una coerente correlazione CO2-temperatura invalida la teoria del riscaldamento globale, e afferma che è un esempio di “prove insufficienti” da parte dell’IPCC nel dimostrare la sua tesi per il riscaldamento globale antropogenico.